giovedì 10 aprile 2014

ADRIANO LEITE RIBEIRO

Uno dei giocatori di basket più dominanti della storia, forse il più dominante, è stato Shaquille O'Neal: un'ammasso di muscoli e grasso impossibile da spostare, una macchina da canestri che non si fermava mai, se non davanti alla vecchiaia. Un vincente nato. Se dovessi pensare ai calciatori più dominanti della storia del calcio, nello stesso senso di Shaq, probabilmente il primo esempio, e più recente, è Zlatan Ibrahimovic: un poderoso centravanti con una potenza nelle gambe mai vista prima. Si dice che una coscia di Zlatan sia larga come un busto di un uomo normale. Ma, effettivamente, c'è un giocatore che aveva un potenziale spaventoso ed è riuscito a sprecare tutto con birra, donne e cibo. Non devo dirlo io che era ovviamente Brasiliano. Il Brasile...patria di alcuni dei giocatori più forti della storia del calcio, ma anche di alcuni dei migliori potenziali mal sfruttati nel panorma calcistico mondiale. Uno di questi è Adriano Leite Ribeiro. La prima volta che vidi Adriano era il 15 Agosto 2001. Allo Stadio Santiago Bernabeu si giocava un'amichevole estiva e Adriano entrò in campo sul risultato di 1-1 e sparò sotto il sette un siluro imprendibile su punizione. Lì nacque la carriera di Adriano, un predestinato. La prima stagione la fa in serie A in prestito alla Fiorentina, e a suon di gol prova a salvare la squadra di Cecchi Gori che però non ha speranze causa fallimento. Ma la carriera di Adriano sembra destinata a grandi cose e l'Inter ci crede fortemente.
E' il 17 Ottobre 2004 e si gioca Inter-Udinese. Adriano ovviamente titolare, regala ai tifosi uno dei gol più belli che abbia mai visto, e riescono a spiegare perfettamente la dominanza.
 Immaginatevi un bestione di quasi 2 metri per 90 kg che si lancia a tutta velocità verso la porta avversaria in contropiede. Salta uno, salta un altro, guarda la porta, sposta la palla sulla sinistra e sfodera un tiro allucinante imprendibile per il portiere. In una telecronaca italiana, il commentatore impazzisce completamente, figuriamoci in quella brasiliana. Ma il bel tempo sembra durare poco, e le nuvole sono vicine. Adriano cede all'alcool e al cibo, da buon brasiliano, e la sua carriera calcistica naufraga completamente: contratti strappati quà e là, ritorno in Brasile e, notizia di qualche giorno fa, segna un gol dopo 2 anni. Ragazzi, ma Adriano Leite Ribeiro ha 32 anni, e gli ultimi 5 li ha bruciati completamente. Questo sarebbe potuto diventare il più forte attaccante del mondo senza problemi, ma peccato che i problemi si sono manifestati, e hanno "dominato" il carattere di uno dei giocatori più dominanti che abbia mai visto.

giovedì 5 dicembre 2013

IL CALCIO BAILADO-RONALDINHO

Quando sarò vecchio e mi chiederanno di raccontare una storia di un calciatore che ho visto giocare, racconterò la storia di Ronaldo de Assis Moreira, al secolo, RONALDINHO. Stiamo parlando di un giocatore stellare, una leggenda del calcio mondiale. La prima volta che ho visto giocare Ronaldinho si giocava Brasile-Cina ai Mondiali 2002, e il Gaucho giocava nel tridente verdeoro insieme a Ronaldo e Rivaldo, ma non sfigurava di certo a confronto con questi due mostri sacri del calcio(Ronaldo chiuderà il campionato con 8 gol). Quello che trasmetteva Ronaldinho in campo era la felicità, un'allegria smisurata nel giocare a calcio, talmente tanta che sembrava stesse giocando ai giardini e non in uno stadio da 80000 persone. Sorriso stampato sulle labbra e palla filtrante, questo il credo del calcio di Ronaldinho. Non è sempre stato in forma smagliante, qualche chilo di troppo in alcune occasioni (ma d'altra parte è brasiliano, è un vizio), ma quando entrava in campo, tutto cambiava. Si fa conoscere al mondo col suo primo mondiale, quello del 2002, in cui gioca così bene che viene acquistato dal Barcellona, l'anno dopo. A Barcellona Ronaldinho trova un'ambiente perfetto per esprimere il suo gioco: modulo adatto a lui, città che non si stanca mai di divertirsi, compagni di squadra che esaltano le sue caratteristiche. Con Rjikard come allenatore, Ronaldinho diventa un leader dello spogliatoio blaugrana, e soprattutto l'esterno sinistro più forte del calcio mondiale. Eh si, dal 2003 al 2008 vince un Pallone d'Oro e due FIFA World Player, 2 LIGA e 1 Champion's League trascinando il suo club in finale con prestazione fantastiche. Ha fatto segnare centinaia di gol ai suoi compagni, ma ne ha segnati altrettanti, ed alcuni davvero stupendi: così a memoria mi ricordo una rovesciata particolarissima segnata dal Gaucho contro il Villareal: cross di Xavi dalla destra, stop di petto e gol sotto la traversa. Una rete bellissima, una delizia per gli occhi. Ma se devo pensare al gol più bello di tutti, al gol che rappresenta il Calcio Bailado e in generale la visione del calcio di Ronaldinho, mi viene in mente il gol che segnò nella stagione 2005/2006 contro il Real Madrid al Santiago Bernabeu: palla al piede, 3 dribbling partendo da metà campo in velocità e appoggia in rete con un tocco che spiazza il portiere. Un gol di una bellezza unica che ho ancora bene impresso in mente. Ma la cosa più sorprendente è che, nonostante la rivalità tra Castillani e Catalani, quando fu sostituito, tutto lo stadio si alzò in piedi per applaudirlo, situazione verificatasi solo per un altro giocatore, non so se lo conoscete, Diego Armando Maradona.
La sua avventura al Barcellona finisce con l'avvento di Guardiola alla guida del club catalano; varie incomprensioni, Guardiola che evidenzia in Messi il suo leader carismatico dello spogliatoio e silura per questo alcuni giocatori,tra cui Ronaldinho ed Eto'o. Il Gaucho trova squadra al Milan, mentre il centravanti camerunense all'Inter. E' l'inizio di una nuova avventura, non molto prolifera, ma mi ha permesso di vederlo dal vivo, per fortuna. Vederlo dal vivo è una cosa emozionante, perchè trasmette davvero la felicità che lo contraddistingue e fa divertire chiunque lo guardi. Finisce la sua avventura a 6 mesi dal termine del contratto, trasferendosi al Flamengo, con cui vince il Campionato Paulista. Alla presentazione migliaia di persone si riversano in piazza per vedere il loro nuovo acquisto, che si commuove alla vista di tanto affetto. L'anno finisce con Ronaldinho che si trasferisce alla sua attuale squadra l'Atletico Mineiro, con la quale vince la sua prima Copa Libertadores. E' un campione fantastico, che ha fatto la storia del calcio catalano, milanista e del calcio Mondiale: non importa per che squadra tifi, non puoi che rimanere stupito ad ogni tocco di palla di RONALDINHO GAUCHO

sabato 23 novembre 2013

ENGLISH FOOTBALL

Si dice, o meglio, gli inglesi dicono che il calcio è nato a Londra il 26 Ottobre 1863. Questa data in realtà sancisce la nascita del calcio moderno, come lo intendiamo noi, perchè si hanno notizie di giochi molto simili praticati fin dall'antichità. Ma quello che nasce il 26 Ottobre 1863 non è uno sport, ma una filosofia di vita. Il calcio inglese abbina sport, agonismo, lealtà e, last but not least, charity. Charity è un concetto che può essere tradotto con la parola carità, ma non comprende l'accezione cristiana della parola, non è dare soldi e fregarsene di quello che succede; si avvicina di più alla parola service, cercare di aiutare con le proprie forze e non con i propri soldi. Moltissimi giocatori vengono impegnati in giornate di sport con giovani delle Academies inglesi. La First Division inglese è stata dal 1888 al 1992 la prima divisione inglese; dal 1993 in poi si gioca il campionato più bello del mondo, la Premier League. Alla base della Premier League non ci sono solo gli interessi a voler contrattare autonomamente i diritti televisivi da parte delle singole squadre (cosa che non era possibile prima, in quanto erano contrattati dalla lega calcio inglese); c'è anche altro secondo me. Il 29 Maggio 1985 si consuma allo stadio Heysel una delle stragi più terribili mai avvenute durante una manifestazione sportiva. Il racconto della strage esulerebbe dalla mia trattazione, quindi parlerò solo della parte che mi interessa: come ho scritto qualche rigo più in sù, il calcio inglese oltre ad agonismo è anche lealtà e fair play. Quello che si vide allo stadio Heysel non era umano, era qualcosa di atroce, con persone che si lanciavano nel vuoto dal secondo anello per evitare di essere schiacciate dalla furia omicida degli Hooligans inglesi. La FA non passerà indenne questa tragedia, ma comunque ne uscirà profondamente cambiata. Dal 1993 ci sono, con l'avvento della Premier League, norme molto più rigide negli stadi, se fai cazzate non ci metti più piede, perchè la partita è e deve essere un momento di divertimento, di ricreazione, di socialità e magari di qualche birra di troppo in perfetto stile inglese. La strage dell'Heysel è quindi, probabilmente una delle scintille che hanno fatto partire il motore e che hanno contribuito a creare un campionato bellissimo. Il campionato. Ma davvero pensate che un giocatore vada in Inghilterra per vincere il campionato? Se vai a giocare in Inghilterra ci vai per vincere l'FA Cup, la coppa nazionale. Questo ha bevuto troppo, direte. E invece no: sembra paradossale, ma vincere l'FA Cup  supera la vittoria del campionato. La formula della manifestazione è semplice: tutte le squadre professionistiche partecipano alla coppa, elemento che favorisce le squadre più piccole perchè giocano in casa in modo da poter ottenere un buon incasso. La vittoria dell'FA Cup dà l'accesso diretto alla UEFA Europa League, ma quello è soltanto una cosa in più, visto che spesso le finaliste sono 2 delle prime 4 che si qualificheranno in Champion's League. Tra parentesi, è anche la manifestazione sportiva regolarmente svolta più antica del mondo. Tra i vincitori dell'FA Cup c'è anche un giocatore che permette di inquadrare abbastanza bene lo spirito del calcio inglese: David Beckham, oltre ad essere rinomato per la sua bellezza, è stato anche un calciatore. Uno dei suoi gol più belli lo mise a segno a inizio carriera con la maglia del Manchester United, tirando da centrocampo un morbido pallonetto che scavalcò il portiere. Ma il gol più significativo segnato da Beckham nella sua vita è stato quello che mise a segno con la maglia della nazionale inglese in un match contro l'Argentina, alla Coppa del Mondo del 2002. C'è però un'antefatto importante: nel 1998, sempre alla coppa del mondo, sempre contro l'Argentina, Beckham fu espulso causando indirettamente l'eliminazione dal torneo dell'Inghilterra. Espulso in un match normale? Eh no! Inghilterra-Argentina non è un match come gli altri. tra le due squadre e tra le due tifoserie esiste infatti un'insolita rivalità, credo forse l'unica a livello intercontinentale, talmente sentita da far chiamare agli argentini "clasico" la partita contro gli inglesi. Il primo match risale alla coppa del mondo 1966 giocata in Inghilterra e vinta dai padroni. Ad alimentare ulteriormente la rivalità ci fu la guerra delle Falkland del 1982. Avamposto inglese, le Falkland sono un'importante giacimento di minerali, e sopratutto sono vicine all'Antartide, che prima o poi si scioglierà, rivelando le sue ricchezze del sottosuolo. Gli argentini le invasero, ma in pochi giorni tutto tornò come prima. Ma torniamo a David Beckham. Nel 1998 fu criticato pesantemente dalla stampa per quell'espulsione, indicata come principale causa dell'eliminazione della squadra. Sono inglesi, c'è poco da fare. Ma per Beckham si presenta un'occasione per rifarsi, ai Mondiali successivi, nel 2002, di nuovo l'Argentina, di nuovo Beckham, ma stavolta capitano e segna il rigore che aiuta la sua squadra a vincere. 
Potrei quindi aggiungere la parola patriottismo alla definizione di calcio inglese? Sport, Agonismo, Lealtà, Charity e Patriottismo. Aggiungiamo anche la Birra, che non guasta mai quando si parla di ENGLISH FOOTBALL

sabato 16 novembre 2013

MANCHESTER UNITED STORY, PART 9: RYAN GIGGS-THE WELSH WIZARD


“È imbarazzante da dire, ma in tutta la mia vita ci sono stati due calciatori che mi hanno fatto piangere quando li ho visti giocare: il primo era Roberto Baggio, il secondo era Ryan Giggs.” Alessandro Del Piero

È impossibile scrivere la storia del Manchester United senza menzionare Ryan Giggs. E mi sembra giusto terminarla con un articolo dedicato al Mago Gallese. Molti di noi non erano ancora nati quando ha incominciato a vestire la maglia rossa dello United. E nessuno può immaginarsi i Red Devils senza di lui. Colui che ci è sempre stato dal 1987, anno in cui cominciò a giocare nelle giovanili, ad oggi. Colui che ha battuto qualsiasi record possibile ed immaginabile per un calciatore. Colui che ha battuto addirittura Sir Alex Ferguson per longevità all’Old Trafford. Solo un Mago poteva riuscirci. Eppure la sua carriera non comincia allo United. Comincia sempre a Manchester, sì.  Ma dalla parte sbagliata della città. La prima maglia indossata da Ryan infatti è la casacca azzurra degli odiati rivali del Manchester City. Non un grande inizio per chi sarebbe diventato una delle più grandi bandiere dei Red Devils di tutti i tempi. Giggs però si farà perdonare dai tifosi dello United per quel piccolo abbaglio giovanile con una carriera formidabile. Il suo approdo nella parte rossa di Manchester è l’ennesima intuizione di Sir Alex che lo vuole a tutti i costi e lo strappa al City, portandolo nelle giovanili dei Red Devils: “Mi ricordo la prima volta che l’ho visto giocare. Aveva solo 13 anni e scorrazzava sul campo come un cane che insegue un pezzo di carta portato via dal vento”, dirà molti anni dopo lo scozzese.
Dopo 3 anni passati nelle giovanili, diventa professionista il 29 novembre 1990 nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Debutta in Premier League pochi mesi dopo e segna il suo primo gol durante il derby di Manchester, per l’ 1-0 decisivo. I 2 anni passati nelle giovanili dei Citizens sono solo un brutto ricordo. La sua classe è indiscutibile, il suo talento cristallino e le sue impressionanti doti di instancabile corridore e assist-man lo affermano a livello mondiale, con la stampa del tempo che lo acclama come un “ragazzo prodigio” ed un possibile “nuovo George Best”. Condividere il campo da calcio e lo spogliatoio con altri campioni come Cantona, Keane, Scholes, Beckham lo consacra definitivamente nell’Olimpo dei più grandi di tutti i tempi. Nonostante alcuni scandali sessuali (pare che Ryan abbia frequentato per 8 anni la moglie di suo fratello) ne abbiano macchiato l’immagine fuori dal campo, dentro il campo è sempre stato irreprensibile e disciplinato ed un modello da seguire. Basti pensare che in 23 anni con la maglia dello United non ha mai ricevuto un cartellino rosso. Questo è solo uno dei tanti record conseguiti dal Mago Gallese. Ecco alcune statistiche che fanno di Giggs un giocatore insuperabile e una leggenda vera e propria, non solo per quanto riguarda il calcio inglese, ma per il mondo del calcio in generale:
è il calciatore che ha vinto più trofei nella Premier League e con la maglia del Manchester United (37);
è il giocatore con più presenze nella Premier League (664) e con il Manchester United (950);
è il calciatore con più assist nella Premier League (271);
è l’unico giocatore ad aver segnato almeno un gol in tutte le stagioni della Premier League;
è uno dei pochi calciatori ad aver disputato almeno 1000 partite in carriera da professionista;
è il giocatore con più presenze in assoluto nella Champions League (145).
Per un calciatore con un curriculum del genere le parole sono superflue. La frase di Ron Atkinson, ex manager del Manchester United, riassume meglio di qualunque cosa la figura di Ryan Giggs: “Ryan ti fa credere che esista davvero un Dio del calcio.”
E la sua carriera allo United non è ancora finita…

FINE  

giovedì 7 novembre 2013

LA "NUOVA" GERMANIA

Una delle nazionali più presenti nelle fase finali dei Mondiali degli ultimi, boh, facciamo 20 anni è la Germania. La nazionale teutonica deve questa fortuna alla sua grande cultura calcistica, e soprattutto al grande Bayern Monaco, squadra da sempre presente ai vertici del calcio europeo. Beckembauer e Muller, Matthäus e svariati altri giocavano nel Bayern; erano una generazione che esprimeva al massimo l'ideale della razza ariana attuato da Hitler qualche anno prima, prevedendo solo matrimoni tra tedeschi puri: tutti i giocatori della Germania fino agli anni 90 sono tedeschi al 100%. Vedendo la nazionale della Germania attuale, o meglio, da una decina d'anni a questa parte, i gerarchi nazisti probabilmente si rivolterebbero nella tomba svariate volte. Si, oggi, nella formazione tipo, ci sono almeno 4 o 5 giocatori di origini non tedesche. La Germania degli anni 80, sebbene fosse spaccata in due dal muro di Berlino, era una fucina di posti di lavoro, un'occasione per migliaia di persone, europee e non, che avevano la possibilitá di ottenere un'occupazione ben retribuita e un'opportunitá di vita migliore per le proprie famiglie: turchi, italiani, africani, asiatici, i vicini polacchi emigrano in Germania in cerca di una nuova vita. É in questo contesto che si sviluppa la nuova società tedesca, multietnica come non mai e, di conseguenza la nuova nazionale di calcio tedesca. Özil, Klose, Khedira, Boateng, Gomez e Podolski, tutti giocatori che hanno fatto la fortuna della Germania e ancora la faranno per qualche anno, sono di origini extragermania. É una questione che fa riflettere tanto sui grandi vantaggi che una nazione può ottenere dalla Globalizzazione, come per quanto riguarda il Belgio di cui ho giá scritto.  Probabilmente, invece di sbatterli in centri di recupero, riformulare una Legge come la Bossi-Fini, una cagata pazzesca, e permettere agli stranieri di arrivare in Italia per apportare le proprie conoscenza, esattamente come fanno gli italiani all'estero, sarebbe un'ottima opportunità per la nazione, ovviamente non solo calcisticamente. Sono troppo visionario? La Germania ed il Belgio ci hanno fatto fortuna, noi arranchiamo, come al solito, ma qualcosa si muove con nuovi figli di immigrati cittadini italiani. Staremo a vedere